ENRICO VARRIALE: ECCO Il MIO “PROCESSO” AI MONDIALI DI QUESTO BRASILE 2014. L’intervista in esclusiva

  • Rioma
  • 21/05/2014

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enricovarriale01Non è tutto «verdeoro» quello che luccica. Soprattutto in questi Mondiali, dove il Paese da una parte è rappresentato dal più noto e usato stereotipo, il calcio, dall’altro non lo è laddove gli investimenti per il rinnovamento brasiliano sono stati finalizzati solo alla coppa calcistica, a puntare i riflettori su un paventato benessere individuale, ad avallare un concetto di «Brasile pronto». Come non bastasse, dopo un’apnea che dura già da molto tempo – Rio de Janeiro un cantiere aperto, rivolte civili, disagi infrastrutturali, pacificazione forzosa di Graffito mondialifavelas – questi Mondiali non saranno che l’inizio di una nuova era, quella olimpionica, che vede il Brasile nuovamente coinvolto a 360 gradi su attività sportive e promozionali verso le Olimpiadi del 2016, dimenticando i reali problemi che attanagliano la popolazione. Ricordiamo che si tratta di un Paese povero e che la presenza di fonti di energia rinnovabile e di un Pil in sviluppo non corrisponde affatto alle rappresentazioni che di tutto ciò dà la popolazione. Ma poiché il calcio, così come lo sport in genere, appartiene alle attività ludiche, e poiché i Romani erano i primi a gettare nell’arena gladiatori e leoni e – fuori da considerazioni etiche – risultava uno spettacolo interessante, proviamo a verificare, attraverso le parole di uno dei più grandi esperti di calcio in Italia, il conduttore televisivo Enrico Varriale, i limiti di questi Mondiali e dei nostri calciatori.

copabrasilDomanda. I Mondiali come opportunità di crescita oltre che di rivolta: è così?
Risposta. Essi possono costituire una grande occasione per il Brasile, anche se la stessa popolazione brasiliana in questo momento sta vivendo alcune contraddizioni. Una parte maggioritaria dell’opinione pubblica afferma addirittura di non volere il Mondiale, ma essendo il Brasile un Paesi con uno dei prodotti interni lordi più positivi in un momento di crisi economica mondiale, potrebbe questa essere davvero l’occasione per un ulteriore consolidamento di una crescita di un Paese straordinario il quale, effettivamente – per quello che dice anche l’opinione pubblica brasiliana – potrebbe distribuire in maniera più equa le risorse generate dai due grandi eventi sportivi in programmazione.

D. Due eventi immensi, uno mondiale, l’altro olimpionico, a distanza di due anni e nello stesso Paese, che si vanno ad aggiungere alla recente Giornata Mondiale della Gioventù in occasione della quale lo stesso (neo-eletto) Papa faceva visita al Brasile: cosa ne pensa?
R.
  È qualcosa che nella mia memoria non ha precedenti. C’è un flusso di denaro, risorse, sponsorizzazioni e anche attenzione mediatica mondiale utilizzibile in questo momento per garantire al Brasile un salto di qualità importante. La cosa che tutti dobbiamo auspicare è che detto salto non sia solo un fatto di risorse economiche per alcune realtà consolidate che hanno avuto negli anni comunque dei vantaggi economici notevoli. Il Brasile è da sempre una terra di grandissime ricchezze e di grandissima povertà: c’è sempre stata la convivenza tra i grandi patrimoni dei grandi ricchi di Copacabana ed Ipanema da un lato, e l’adiacente favela della Rocinha dall’altro. Speriamo che questo mondiale possa servire non dico a ridurre le distanze, ma in qualche modo a distribuire meglio, e in questo momento il Governo progressista di Dilma Rousseff potrebbe far sperare in una redistribuzione. È chiaro che tutte le grandi manifestazioni sportive sono un’occasione, questo non solo in Brasile. Già l’anno scorso quando andammo in Brasile per la Confederation Cup si vide bene che il Paese era in ritardo sotto l’aspetto infrastrutturale, ci auguriamo che si possa recuperare in questo ultimo periodo e, soprattutto, offrire un quadro generale confortante anche per chi lavorerà alla riuscita dei giochi.

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Uno dei famosi “castelli” di sabbia a Copacabana e, dietro, una porta calcistica

Maracanà

Lo stadio carioca del Maracaná

D. Esiste un gap infrastrutturale?
R. A giugno del 2013, quando andammo per la Confederation Cup, si avvertivano grandi mancanze dal punto di vista sia delle infrastrutture dei trasporti che di quelle tecnologiche, per esempio la connessione 3G dava problemi; quest’anno hanno garantito la connessione 4G, ma sembra che non sarà così. È chiaro che tutti gli sforzi alla fine porteranno qualche risultato, ma a leggere quelle che sono le cronache sia per quanto riguarda la realizzazione degli stadi, che per quanto riguarda il consenso popolare, non è che ci siano stati grandi passi avanti, quindi da questo punto di vista la preoccupazione è legittima. Ripeto, però, che le grandi opere si fanno ormai in tutti i Paesi del mondo quando ci sono i grandi eventi sportivi, quindi è da sperare che, avendo una combinazione senza precedenti come il 2014-2016 di Mondiali di calcio e Olimpiadi, qualcosa resti alla popolazione.

D. Senza vincitori né vinti?
R. Questa è un’utopia: credo che qualche vinto ci sarà sempre, speriamo solo che non siano troppi e che ci sia una base di vincitori più ampia rispetto ai soliti che ìin queste operazioni si arricchiscono e hanno la possibilità di avere dei vantaggi in una realtà che avrebbe bisogno invece di una redistribuzione sia del reddito che delle possibilità di rendere più vivibile certe aree di grande sofferenza sociale, perché le favelas di Rio ma anche di altri parti del Paese sono oggi sotto gli occhi di tutti.

D. Lei è stato in Sud Africa a fare la cronaca degli ultimi Mondiali. Differenze?
R. Quattro anni fa ho vissuto l’esperienza africana, soprattutto Johannesburg dove si è tenuto il ritiro della nazionale, e oggettivamente il lascito è stato solo quello di stadi bellissimi e modernissimi, ma oltre a ciò la società sudafricana non ha avuto l’avanzamento che si aspettava. Speriamo che in Brasile, sfruttando il vantaggio di avere anche le Olimpiadi a Rio nel 2016, si possa lasciare un reale miglioramento per tutta la popolazione, soprattutto per quella più sofferente.

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Cape Town, in Sud Africa, durante i Mondiali 2010

D. Peraltro stiamo parlando solo di Rio de Janeiro, non stiamo parlando del resto del Brasile. Dire Brasile è come dire Europa, un insieme di mondi e culture differenti sebbene legate, che hanno problemi differenti e grandi gap anche all’interno.
R. Certo, il Brasile è un Paese-continente, ed è chiaro che ci sono zone tipo l’Amazzonia che hanno sicuramente altre problematiche non risolvibili attraverso l’appello a questi grandi eventi. A Rio ci sarà il vantaggio di avere le Olimpiadi.

D. È un vantaggio?
R. Il vantaggio è che, per quattro anni i riflettori sono puntati su questo tipo di realtà: oggi se in Brasile avviene un incidente sul lavoro  in uno stadio, ne parla tutto il mondo, mentre fino a ieri se ne accorgevano in pochi, quindi da questo punto di vista anche la protesta che c’è stata in occasione della Confederation Cup e che credo potesse esserci anche al Mondiale, trova una eco e una risonanza che normalmente non avrebbe avuto.

(in alto una delle trasmissioni di Enrico Varriale, in cui invita il musicista gaucho Zè Galia)

C’è anche molta violenza, sono aumentate le sparatorie, ci sono molte riappacificazioni nelle favelas ad opera della polizia che sono probabilmente strumentali, infine, c’è questa fretta del Governo di muoversi.
R. È chiaro che il Governo deve gestire una cosa con gli occhi del mondo puntati addosso, e cerca di fare il meglio possibile. È anche vero che anni ed anni di ritardi non si cancellano velocemente, e questo porta ad avere un’accelerazione non solo nell’azione ma anche nel tipo di protesta, considerando perfino che, se è stato portato al Governo il partito di sinistra, la maggioranza dell’opinione pubblica brasiliana la pensa in un certo modo. È chiaro che il Brasile ha avuto una dittatura militare per molti anni e ciò genera forti resistenze dal punto di vista di alcune realtà imprenditoriali ed economiche, che oggettivamente fanno sentire il proprio peso, ma credo e spero che Mondiali ed Olimpiadi siano un’occasione utile per dare una maggiore equità sociale e capacità di far crescere in generale un Paese straordinario.

D. Quali Mondiali ha vissuto da cronista e testimone?
R. Ne ho fatti 7, sono stato fisicamente in tutti i Paesi chiamati in causa: Italia 90, Usa 1994, Francia 1998, Corea-Giappone 2002, ossia il primo mondiale abbinato con due Paesi vicini, Germania 2006 dove ci fu l’indimenticabile vittoria dell’Italia a Berlino, e nel 2010 il Sud Africa, un Mondiale sfortunatissimo per l’Italia che ne uscì al primo turno. Nel 2006 abbiamo vinto contro la Francia e siamo diventati campioni del mondo. Lo storico incontro Italia-Brasile avvenne in Spagna nel 1982, ma lo vidi in tv, non seguivo ancora il Mondiale professionalmente.

D. Di questi quale ha dato una maggiore spinta economica?
R. Credo che nessuno alla fine abbia lasciato grandi strascichi economici: il Mondiale lascia solo i segni iniziali, ossia lo stadio. Il Paese che da questo punto di vista poteva avere la maggiore incidenza, perché partiva anche da basi più basse, era proprio il Sud Africa, che ha stadi bellissimi che in Italia sognamo, ma questi sono dedicati ai grandi eventi che solo per quel periodo catalizzano l’attenzione e bruciano una serie di interessi e risorse, quindi lasciano una cattedrale nel deserto. Il caso brasiliano è diverso solo per l’abbinamento con le Olimpiadi 2016. Ricordo la Germania, oltre che per la nostra vittoria e per il fatto personale di essere stato uno dei pochi italiani ad aver toccato la coppa del mondo, che portarono nel mio studio accanto allo spogliatoio dell’Olympiastadiom di Berlino, anche perché dal punto di vista del sistema-Paese tedesco ha migliorato notevolmente le strutture sportive: ci sono stadi in Germania che si alimentano con pannelli fotovoltaici.

D. La Germania essendo di suo già ricca, ha fatto di più, il Brasile, essendo più povero, fa rivolte.
R. Speriamo che queste rivolte portino a un risultato concreto per la gente: se solo si riuscisse a migliorare le condizioni di vita di una favelas il risultato sarebbe già significativo.

D. Crede che saranno utilizzati questi fondi anche a scopi più elevati oltre l’aumento generico del Pil?
R. Me lo auguro. Credo che dal punto di vista del risultato sportivo una vittoria del Brasile placherebbe un po’ gli animi rivoltosi, perché poi ogni mondo è Paese e la vittoria sportiva dà la possibilità a ciascun Paese di  vivere un momento con orgoglio. È più difficile andare oltre tale orgoglio senza cadere nella mera contingenza, che porta quelli che ricchezza già ne hanno ad essere sempre più ricchi, e sempre più poveri gli altri. E, guardando al passato, non c’è da aspettarsi molto.

Felipe Scolari

L’allenatore del Brasile Felipe Solari

D. D’altro canto, se ci fosse una perdita, sarebbe una frustrazione.
R. Sinceramente credo che il Brasile sia favoritissimo per il Mondiale, per ragioni innanzitutto tecniche perché è un’ottima squadra con un allenatore molto saggio, Felipe Scolari, che ha allenato in Europa e quindi conosce bene quelle che sono le dinamiche del calcio europeo, che è quello più evoluto dal punto di vista tattico. Molti calciatori brasiliani giocano in Europa e conoscono questo tipo di discorso. C’è anche la grande creatività e fantasia del calcio brasiliano che produce fenomeni a getto continuo. In più credo che il Brasile sia notoriamente la patria del pallone, c’è stata letteratura sul mondiale del 1950 perso nel famoso «Maracanazinho» contro l’Uruguay in un sistema a gironi per cui bastava un pareggio al Brasile in quella ultima partita per laurearsi campione del mondo (vincevano 1 a 0 alla fine del primo tempo, persero 2 a 1 per i gol di Schiaffino e Ghiggia). La ripetizione di uno scenario del genere non riesco a immaginarla, ma il calcio è bello per la sua imprevedibilità, per non essere una scienza esatta.

D. Chi sono i candidati alla vittoria finale?
R. Io credo che i brasiliani stessi siano i favoriti. Ma poi indiscutibilmente c’è l’Argentina, squadra più forte anche tecnicamente del Brasile ma che gioca fuori casa contro la sua più grande rivale. L’Argentina è una squadra che soprattutto in attacco ha grandi fenomeni, da Lionel Messi, il giocatore che più si avvicina a Diego Armando Maradona, a Kun Aguero, Gonzalo Higuain che gioca nel Napoli, Angel Di Maria che gioca nel Real Madrid. L’Argentina è una squadra forte a tal punto da potersi permettersi il lusso di non convocare Carlos Tevez, uno dei protagonisti dello scudetto juventino. Quindi il Brasile è il favorito, con un grandissimo fantasista che è Neymar, dal Barcellona, ma l’Argentina è la vera rivale. Tra le europee è molto forte la Germania. Poi c’è la Spagna che è campione del mondo in carica e che negli ultimi anni ha vinto tutto.

D. La Spagna non c’è nella lista delle favorite?
R. Credo che un pochino di parabola discendente la Spagna l’abbia cominciata. Poi è una squadra che ha vinto gli ultimi due europei e l’ultimo mondiale, non è favorita anche per una legge statistica: prima o poi si dovrà fermare. È vero che adesso ha vinto con il Siviglia l’Europa League e vincerà sicuramente la Champions League il 27 maggio, finale che è tra due squadre spagnole, anzi, madrilene: il Real Madrid contro l’Atletico Madrid. È  chiaro che in questo momento hanno delle squadre di club fortissime dove però giocano molti stranieri, è un movimento vincente in Europa, ma pensare conquistino un altro Mondiale mi sembra abbastanza improbabile. Anche se credo che fra le europee la squadra più forte sia la Germania, immagino comuque che sarà un mondiale vinto da una sudamericana.

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Il presidente brasiliano Dilma Roussef invita Papa Francesco ai Mondiali

D. Dal Papa al calcio, siamo circondati insomma.
R. Papa Francesco è sinceramente amante del calcio, tifoso del San Lorenzo De Almagro che poi non è una squadra di quelle più blasonate – le squadre forti in Argentina sono il Boca Juniors e il River Plate – . Il San Lorenzo è una squadra che spesso perde e che ha difficoltà, ma è una squadra appartenente a uno dei quartieri di Buenos Aires più popolari. Una delle prime cose che ha fatto questo Papa è ricevere i tifosi del San Lorenzo come socio della squadra, e si è fatto dare la maglia.

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Papa Francesco I con la maglia dei “Cuervos”, i tifosi, come lui, del San Lorenzo

D. Il calcio unisce, insomma, o la religione unisce?
R. Questa è la cosa straordinaria. Qualche anno fa la Rai fece una trasmissione sui mondiali del ‘98 in Francia, che vinse in finale contro il Brasile, e fece vedere a partire dal calcio d’inizio della finale cosa si faceva in oltre 200 Paesi: dall’Alaska al deserto del Sud Africa alla Tanzania, in quel momento si stava guardando la partita. Non c’è cosa più unificante come il pallone. Le Olimpiadi, che sono un fenomeno ancora più universale, non hanno la stessa capacità di catalizzare l’interesse di tutto il mondo, poche cose sono in grado di fermare il tempo come il calcio. E un Papa, che è calato profondamente nella realtà che lo circonda e si pone allo stesso livello della gente, non può non essere tifoso e chi si avvicina al calcio, volente o nolente, ne diventa comunque partecipe.

D. Quali sono tra i 30 prescelti tra i brasiliani per giocare?
R. Loro hanno una difesa straordinaria che parte dai due esterni difensive – Dani Alves che gioca nel Barcellona e Marcelo che gioca nel Real Madrid -. Hanno Thiago Silva che giocava nel Milan e che adesso gioca nel Paris Saint Germain, per me il più forte difensore centrale del mondo, e al suo fianco, a scelta, Dante che gioca nel Bayern Monaco, o David Luiz che gioca nel Chelsea. Hanno un centrocampo molto forte e possono scegliere su tanti giocatori di valore, Luiz ad esempio lo possono spostare a centrocampo, come anche Luiz Gustavo.

EURO 2012: SPAGNA - ITALIA

Mario Balotelli con la maglietta dell’Italia

D. E l’Italia?
R. È un discorso molto legato alla prima partita, battere l’Inghilterra in Amazzonia, a Manaus il 14 giugno, metterebbe il mondiale in discesa. Nel girone fronteggiamo anche il Costa Rica e l’Uruguay, e credo che questo sarà un Mondiale in cui le squadre sudamericane vivranno da protagoniste, in più l’Uruguay ha un attacco fenomenale formato da Edinson Cavani, ex giocatore del Napoli e del Palermo, e Luis Suarez, la coppia di attaccanti più forte, con una capacità tattica superiore ai brasiliani. L’Uruguay è un Paese piccolo ma ha vinto due mondiali proprio per astuzia. La squadra italiana mi sembra nel complesso la migliore al momento per il calcio italiano, un calcio che nel ranking dell’Uefa è al quinto posto, cioè in Europa siamo dietro a Inghilterra, Spagna, Germania e Portogallo, aggiungiamoci Argentina, Brasile e Uruguay e abbiamo la misura del rischio che corriamo. Per carità, anche nel 2006, in pieno scandalo Calciopoli, nessuno pensava che potessimo vincere il mondiale, quindi nel calcio non si può mai dire. Oggi quasi tutti quelli che capiscono di calcio firmerebbero per un’uscita dell’Italia ai quarti di finale. In ogni caso siamo una squadra di tradizione, di esperienza e anche di grande malizia tattica. La qualità dei nostri mediamente è una qualità buona nel senso che abbiamo alcune individualità valide, il problema è che abbiamo pochi giovani che sono emersi, mentre i due giocatori di caratura internazionale sono Gianluigi Buffon e Andrea Pirlo, già campioni del mondo nel 2006, che sono abbastanza avanti negli anni, ma hanno una caratteristica di continuità a livello internazionale. Il grande giocatore su cui si farà affidamento è Mario Balotelli che è un discorso a sé, con grandissime potenzialità  spesso inespresse in quanto ancora irrisolto credo anche sul piano umano. Balotelli era il figlio di due ghanesi che l’hanno abbandonato all’età di tre anni a Palermo, è stato adottato da una famiglia di Brescia, dove ha vissuto e preso il cognome dei genitori adottivi: sarebbe una bellissima storia, un’Italia trascinata da Balotelli al Mondiale, la prova provata che la nuova Italia, e cioè l’Italia anche degli emigrati, si può fare. Oltre a ciò lui è giovane sì, ma sarebbe il caso che si strutturasse, nel senso che la carriera dei calciatori non è eterna, ci sono stati  giocatori che stanno ad aspettare, uno di questi è Antonio Cassano che oggi ha 30 anni e potrebbe giocare il primo mondiale della sua carriera, anche lui è stato sempre atteso come una promessa straordinaria, ma per tanti motivi si è un po’ perso. Francesco Totti è abbastanza avanti negli anni e i suoi 37 anni sono la misura attuale del momento del calcio italiano.

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Mario Balotelli, fuoriclasse ghanese adottato da bresciani e italianizzato

D. Tu credi che i brasiliani giochino meglio in generale? Che tipo di approccio hanno con il calcio ed il pallone?
R. In termini tecnici e calcistici dal punto di vista della base loro sono tanti, dicevamo prima che il Brasile è uno Stato-continente, quindi è come fare una selezione di tutti i giocatori più forti in Europa, in più lì c’è la capacità di far crescere i giocatori con una grandissima fantasia, cioè loro giocano a pallone da quando sono piccoli, sulle spiagge, nelle favelas, in mezzo alla strada, e quindi sono liberi, sono meno polli di allevamento. E la cosa che negli anni ha fatto loro fare il salto di qualità è che molti di questi giocano in Europa, dove hanno anche appreso la capacità tattica, la malizia, la capacità di gestire le partite europea. Gli argentini hanno qualità analoghe, ma hanno una maggiore cattiveria agonistica che ne fanno una squadra durissima da affrontare, ricordando anche la presenza in difesa di Javier Mascherano, che gioca nel Barcellona, un vero leader in campo.

D. Perché giocando in casa è sempre più vantaggioso? Per il tifo?
R. Anche, è fuori discussione che per chi gioca in casa c’è molto interesse che vada avanti, ma nel Brasile questo problema non c’è perché la squadra andrebbe avanti lo stesso anche se giocasse altrove, e non credo ci sia interesse da parte di nessuno a che il Brasile venga eliminato.

D. Però nello stesso tempo dipende da loro.
R. Certo, dipende sempre da loro, e l’arbitro farà la sua parte come sempre, però la pressione ci sarà. Si racconta, nei libri che descrivono l’incredibile episodio del 1950 quando persero il Mondiale, che i brasiliani vissero la vigilia di quella partita a festeggiare nell’albergo convinti già di aver vinto, era una squadra fenomenale quel Brasil. Se il Brasile arriva secondo è un fallimento, c’è quella pressione di vincere a tutti i costi, ma accanto a questa pressione i vantaggi ce l’hanno tutti: il vantaggio di giocare in casa, il vantaggio del pubblico, il vantaggio di una benevolenza arbitrale.

D. Dopati?
R. In tutte le grandi manifestazioni ci sono situazioni che risultano positive al doping, nel calcio accade di meno perché è uno sport in cui non basta la prestanza fisica, l’unico in cui nei casi in cui si è accertata una intensa presenza di doping (come l’esempio dell’ex Germania Orientale), non si siano comunque viste cose fenomenali, perché sì conta correre e star bene atleticamente, ma alla fine si deve sapere giocare a pallone. L’unico mondiale di cui si dice che c’è stato probabilmente un discorso di sospetti di doping fu quello del 1954 che si giocò in Svizzera, dove vinse la Germania contro l’Ungheria, all’epoca una squadra come il Brasile di oggi, con capacità tecniche straordinarie; allora vinsero a sorpresa i tedeschi perché correvano come pazzi, poi si disse che dopo ebbero tutti problemi fisici e, tra leggenda e ricostruzioni storiche, si dice che quella fosse una squadra dopata. Nel calcio, come in tutti gli sport di vertice, il rischio c’è sempre, nessuno va a pane e acqua, questo è fuori discussione, bisogna capire quanto ci si mantiene borderline tra il lecito e l’illecito; ma la verità è che nel calcio l’incidenza del doping è minore rispetto ad altri sport.

D. Nel nostro campionato, quali sono i brasiliani “italianizzati”?
R. Di brasiliani che giocano da noi ce ne sono pochi. Non sono stati chiamati né KakàRobinho, perché oggettivamente il campionato italiano si è abbassato come livello. I giocatori che hanno caratterizzato il campionato italiano sono stati Carlos Tevez e Fernando Llorente, che hanno dato il la alla vittoria della Juventus, uno argentino e l’altro spagnolo, e non vengono convocati dai propri Paesi perché le rispettive nazionali hanno giocatori migliori, e questo dà la misura di quanto si sia abbassato il livello del nostro calcio. Quindi di giocatori “italiani” non ce ne sono, ci sono ex giocatori che hanno militato nel nostro campionato, tipo Thiago Silva, che fin quando è stato al Milan ha reso la squadra molto forte, e quando è stato ceduto per un’enorme cifra al Paris Saint Germain, un giocatore fondamentale. Loro hanno solo un piccolo punto debole, hanno Neymar che gioca con il Barcellona a fianco di Messi, e probabilmente sarà l’eroe eponimo di questo mondiale.

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Neymar da Silva Santos  e Lionel Messi (Brasile e Argentina)

L’uomo del Mondiale 2014?
R
.
Credo che l’uomo di questo mondiale potrebbe essere proprio Neymar, un giocatore che ha i numeri del fuoriclasse, anche molto giovane perché ha poco più di 20 anni. Ma credo anche in Messi. Credo sia questo il duello del mondiale, Messi per l’Argentina e Neymar per il Brasile che sono poi anche compagni di squadra nel Barcellona, quindi si conoscono e hanno fatto tra l’altro una stagione meno straordinaria di quello che ci si aspettasse perché il Barcellona, che partiva con questa coppia e si pensava che potesse vincere tutto, non ha vinto la Champions League perché è stato eliminato, e ha appena pareggiato 1 a 1 con l’Atletico Madrid, quest’ultimo diventando campione di Spagna

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Garrincha e Pelè, “i più grandi brasiliani di sempre”

D. I più grandi giocatori brasiliani di sempre?
R. Pelé. Essendo io napoletano ed avendo vissuto l’epopea di Maradona, c’è la famosa canzone “Maradona è megl’e Pelé”: a parte che mettere a confronto giocatori di epoche diverse è sempre difficile, Pelé è stato un giocatore enorme, io non l’ho mai visto giocare dal vivo per una questione anagrafica, però è un giocatore che ha fatto delle cose straordinarie e noi ce l’ho ricordiamo anche quando nel 1970 con il Brasile battè l’Italia nella finale del mondiale del 1970 in Messico, dove segnò un goal straordinario rimanendo praticamente appeso in aria, insieme a Tarcisio Burgnich, un salto in cui  riuscì a restare in aria più tempo dell’altro e segnò di testa, un goal incredibile. Pelé è stato un giocatore straordinario ed è stato considerato il simbolo del calcio in assoluto, ha segnato più di mille gol. Però il Brasile è stato da sempre una scuola di grandi attaccanti ma anche di grandi difensori, c’erano per esempio due grandi difensori degli anni 50 che erano Didì e Vavà, c’è stato Garrincha (nella foto a sinistra con Pelé), un giocatore dalla matrice popolare, era uno che anche negli anni della dittatura militare, per esempio, ebbe una relazione con una cantante famosa, Elza Soares, una relazione scandalosa perché erano tutti e due sposati, quindi è stato anche un uomo di rottura da questo punto di vista ed era un uomo che aveva una gamba più corta dell’altra e nonostante questo aveva una finta che faceva impazzire i difensori avversari che non lo prendevano mai. Oltre a essere un grandissimo giocatore è stato un eroe popolare perché era uno degli ultimi della società brasiliana che era arrivato ad essere un giocatore fondamentale e vincere il Mondiale, ciononostante continuando a vivere una vita borderline, tra povertà, alcol ed altri problemi. Sono tante le storie di calcio brasiliano che sono straordinarie.

D. Il Brasile vive il calcio come una religione. Eppure i brasiliani si rivoltano contro il Mondiale?
R. Sono davvero sorpreso dal fatto che a un mese dal mondiale ci sono sondaggi che dicono che la maggior parte della popolazione brasiliana è contro l’evento, mi pare una rivoluzione copernicana rispetto al modo di intendere il Brasile e il calcio perché il Brasile quando c’erano le partite di calcio è sempre stato abituato a fermarsi.

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La protesta “O gigante acordou” durante la Confederation Cup nel 2013

D. Mentre adesso fa protesta, anche conosciuta con il nome di “O gigante acordou”, il gigante si è svegliato.
R. Adesso dicono che il calcio è importante ma probabilmente c’è qualcosa che è ancora più importante. Detto questo, se si pensa a un Paese calcistico, è il Brasile, non a caso il Paese che ha vinto più volte il campionato del mondo, un “pentacampeão”, cioè 5 vittorie.

D. Se vincessero anche questo?
R. Se vincessero il 2014, sarebbe il sesto; dietro di loro ci siamo noi che abbiamo vinto 4 mondiali, poi c’è la Germania che ne ha vinti 3. Dal punto di vista della tradizione l’Italia è sempre trattata con rispetto al Mondiale, per una tradizione di tattica, di gioco, di capacità di gestire le situazioni complicate che ci rafforza. In un’analisi a priori e razionale non credo l’Italia abbia enormi possibilità di fare un figurone al mondiale e arrivare tra le prime quattro. Ma penso a un Paese del pallone allora dico: il Brasile.

D. Non pensa né all’Italia né all’Argentina.
R. No, in Italia e in Argentina non c’è quella totale identificazione, in Brasile si gioca a pallone in maniera incredibile. La prima volta che sono andato in Brasile mi sono incantato nel vedere dei ragazzini che giocavano sulla spiaggia, erano degli artisti veri, ce l’hanno proprio nel sangue. Ripeto che c’è anche la base, che è enorme, si tratta di un continente intero dove sono innumerevoli le possibilità, però lì si sceglie tra fenomeni veri, ovunque.

D. La violenza, secondo lei, ci sarà?
R. Quello dipende molto da come finisce.

D. Negli altri Mondiali ci sono stati episodi di violenza?
R. No. In Sud Africa siamo andati impauriti nel senso che ci avevano detto tutti “vedrai che succede”, e la Rai aveva addirittura attrezzato ognuna delle nostre troupe con un uomo-scorta, e non si poteva uscire o andare in giro senza di lui. Ma non è successo nulla, non c’è stato nessun episodio di violenza. La cosa che sorprende è che abbiamo avuto modo di vedere anche alla Confederation Cup che ci sono le proteste di piazza, in pieno torneo l’anno scorso c’erano migliaia di persone che andavano là e dicevano “a noi non ci frega niente del pallone, se vinciamo o se perdiamo”, quindi sì, la violenza credo ci possa essere, ma credo che in questo il calcio poi abbia una funzione educativa e non solo, anche anche soporifera perché se c’è una cosa che può sopire la protesta è la vittoria del Brasile al Mondiale, e questo è uno dei motivi che mi fa pensare che questo mondiale il Brasile non può perderlo.

D. E se lo perdesse?
R. Se lo perdesse, due cose: la prima, che è una cosa bella, avremmo la prova provata dell’imprevedibilità del calcio; la seconda, che è una cosa brutta, la reazione sarebbe impensabile  dal punto di vista sia dell’ordine pubblico sia da quello sociale.

D. Anche perché le Olimpiadi sono tutta una cosa diversa, ci sono molteplici discipline.
R. Sì, però c’è un problema: per fare le Olimpiadi bisogna avere una relativa pace sociale. Mentre nel calcio si devono costruire una serie di stadi in tante città, nelle Olimpiadi si devono costruire decine di impianti solo a Rio, dal palazzetto dello sport alle strutture per il basket, per la vela, per l’atletica, e se ciò lo si fa in un momento di difficoltà sociale, emergono le difficoltà. Anche perché il calcio è un concetto brasiliano, le Olimpiadi non sono altrettanto sentite.

D. E come mai hanno fatto questa doppietta, un volano per far soldi?
R. Perché il Brasile in questo momento  ha gli argomenti giusti per convincere chi volesse investire risorse e soldi, e oggi tutti le maggiori manifestazioni finiscono là dove vi è una possibilità di garantire maggiore sviluppo. I “mega” sponsor di questi eventi sono la Coca-Cola, la Mastercard e simili, cioè i grandissimi marchi mondiali, che vanno dove sanno che ci sono i soldi. Il prossimo sarà in Russia, non è un caso, e il prossimo ancora si farà in Qatar, che dal punto di vista del pallone non ha ragione d’essere giacché il Mondiale si gioca in piena estate e in Qatar devono strutturare stadi climatizzati per il caldo, partite indoor che nel calcio è un’alternativa mai verificatasi prima: di conseguenza il mondiale diventa un ulteriore volano per fare altri soldi.

D. Che perda o vinca il Brasile, pensa che tutti questi lavori che sono stati fatti saranno utili?
R. Questa è la vera domanda, però la risposta la ignoro. La vittoria, da quel punto di vista, è assolutamente imprevedibile.

D. Comunque vada sarà un successo, oppure no?
R. No, questo non me la sento di dirlo avendo visto le precedenti esperienze. L’augurio è questo, che alla fine tutto l’afflusso di soldi, interessi e riflettori accesi, in realtà possa servire.

D. Ci saranno delle problematiche di vario tipo, ipotizzerei quasi un disturbo post traumatico da stress…
R. Lo stress si trova in tutte le parti del mondo, noi abbiamo avuto i Mondiali del ’90 ed è stata una cosa allucinante che non ci ha lasciato nulla di buono, solo molto stress.

assistenza in redazione Alfio Paolangeli
riproduzione riservata rioma brasil

Anche su Specchio Economico – Giugno 2014
www.specchioeconomico.com

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