SAINT LOUIS JAMMIN 2016: L’EVENTO PIÙ QUOTATO DELL’ANNO

  • Rioma
  • 23/09/2016

IMG_6899di ROMINA CIUFFASAINT LOUIS JAMMIN 2016. Il 21 settembre 2016 l’omaggio ai 40 anni del Saint Louis College of Music, bottega artigiana vanto per l’Italia nel mondo, ammirata dalle istituzioni di tutta Europa e meta ambita per le nuove generazioni di musicisti. Il direttore Stefano Mastruzzi li celebra così, come a Woodstock, con i più grandi nomi della musica italiana tutti riuniti in un jet set all’Auditorium Parco della Musica di Roma: Maria Pia De Vito, Antonella De Grossi, Maria Grazia Fontana, Chiara Civello, Javier Girotto, Gegè Telesforo, Roberto Gatto, Enrico Pieranunzi, Giovanni Imparato, Antonio Solimene, Lello Panico, Vincenzo Presta, Milena Nigro, Marco Siniscalco, Marco Manusso, Alessandro Gwis, Pierpaolo Principato, Pierluca Buonfrate, Michele Papadia e mille altri, oltre a cori e formazioni jam di rara potenza.

Una Woodstock vera e proprio quella organizzata da Mastruzzi, che spiega: “Come un’invasione aliena, astronavi del Saint Louis teletrasportano a Roma Jammin’ 2016, 14esima edizione di un’antologia musicale specchio delle tendenze artistiche nate in Italia, pagine sfogliate dalla brezza settembrina romana. Una rassegna straordinaria che mira altrove, questo rumore che rompe il silenzio e proietta sul palco 200 artisti, già grandi musicisti o grandi in nuce. Jazz, Soul, Pop, Rock suonano come ingranaggi arrugginiti del secolo scorso, fanno sorridere come oggi le vicende terrene degli dèi dell’Olimpo; la musica è altresì imprevedibile come l’animo umano, perché ne è il frutto, sgorga dalla vita quotidiana che tutto è fuorché lineare, è caos, riflessione, visione, interazione, solitudine, conservazione e avanguardia, perché non vi è libertà senza confini certi. La cornice è il limite alla libertà del pittore, così come il marmo vivo potrà essere solo ridotto e plasmato dallo scalpello, l’illusione della realtà aumentata è solo un algoritmo quantistico di bit, che in verità si spinge assai poco oltre il tangibile. È invero la nostra coscienza individuale e collettiva a esplodere mondi sconfinati nell’infinitamente piccolo, una musica eterna nella durata di un concerto. E poi il pubblico, perché è la gente che fa la storia del concerto, talmente presente in questi anni da costringerci a cambiare sala per una più grande, la Sala Petrassi, dove il Maestro Goffredo ascolterà compiaciuto artisti poco più che ventenni con ancora l’ardire sfrontato di fare musica con le dita, il respiro e il sudore, a soli pochi metri dallo sguardo della gente invece che al sicuro dentro uno schermo al plasma mal celati da strati di fondotinta”.

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