NATALIA GREEN – Pecado Teatral

  • Rioma
  • 24/04/2014

di Romina Ciuffa >

Natalia Green Pecado TeatralNATALIA GREEN – Pecado Teatral (2010). «Mi piace sentire la chitarra come un corpo pulsante, le note come un albero». Questa nuova Natalia è oggi legna che arde, combustibile per un’emotività complessa che, nella sua musica, esplode in maniera assolutamente imprevedibile. Ciò che altri definirebbero «polistrumentale» io definisco «polipassionale»: la sua libertà non le consente di sfuggire alla sperimentazione, immersa nella quale crea un linguaggio unico per descrivere la sua mania. Una mania «difficile da spiegare, perché un po’ vaga in realtà». Non la noterete. Non ne noterete l’angoscia, tutti i santi giorni quando arriva la paura.

Noterete però il Brasile, da cui proviene Natalia De Oliveira Vasco, noterete il suo Garda: da Rio la lingua dell’intero Pecado Teatral, le percussioni, le intro, l’acustica. L’oceano. Da Sirmione l’ispirazione, i limiti, il lago: una cantautrice che ha in mano testi tanto forti non è destinata all’Italia né a un lago chiuso. Nemmeno all’oceano, nemmeno al Brasile: alla mania non si addice la grandezza. Più a un fiume che sfoci altrove, una New York poliglotta, in cui si apprezza l’espressione e l’agonia dell’artista. Niente che sia saudade e spiagge incontaminate. «Il momento triste arriva d’inverno». L’agonia dei fumi delle Avenues e dei bar nelle Streets, questo merita Natalia Green con il suo ep invadente, sofferto, che entra nel fegato come a Hemingway alcol e rende l’orecchio un routinario della sonorità inconsueta, incompresa. Verde.

Come quegli «alberi ultrasonici» che lei assimila ai propri brani: «In un attimo la radice diventa legno, un processo pressoché inconsapevole, la melodia ed il ritmo prevalgono e sembrano non dipendere dalla lingua. Le parole arrivano dopo, dedotte da suoni sussurrati, poi reinterpretati». E verdissima è So’ Louco, sebbene difficile all’orecchio poggiato su un ritmo infiltrante, un tono minore che, ebbro di etnia e percussioni, riporta a una danza interiore fatta di misteri. Quelli di un pazzo, «per sopportare questo sguardo stando fermo, per accettare di desiderare qualcuno senza poter toccare», i misteri del dolo: da dove si dipana la volontà di uno così? «Avete mai visto cosa peggiore di questa?», grida. La sfida è: abbiamo visto cosa peggiore di un pazzo? Cui va un video rosso, teatrale come il peccato. Altri peccati: in Mania una «paranoia da consumo generale»; in Sem Disfarçar l’invasione di uno sguardo senza maschere; in Canto do mar fiori che camuffano un pavimento. Eppure, in Noar, quel pavimento alla fine dovrà sparire: sarà allora che il verde prenderà i toni che si addicono a un fiume.

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