JOTA VELOSO, SINCRETISMO DI SANTI E CANTANTI

  • Rioma
  • 08/02/2013

di JOTA VELOSO e ROMINA CIUFFA

Santo Antônio e outros cantos Salvador da Bahia. Prima la sua autorecensione, poi la nostra recensione. Questo sì che è sincretismo.

“Santo Antônio e outros cantos…”
di Jota Veloso
Banco Capital
Salvador-Bahia 2010

AUTORECENSIONE di Jota Veloso

È stato l’artista plastico baiano Fernando Oberlander ad invitarmi a scrivere un libro in occasione di un progetto culturale in cui era coinvolto il Banco Capital. Non mi era mai balenata, scrivendo musica, l’idea di fare un libro, ma dopo lunghe conversazioni sono giunto a una conclusione: avrei dare in modo semplice un’idea di come la mia musica prende forma e, infine, nasce. Ho tentato di farlo con spiegazioni succinte e, soprattutto, vere: non volevo dare l’impressione che fare musica sia privilegio di pochi o che abbia un qualcosa di superiore. Ho raccontato con semplicità il modo in cui le mie canzoni sono nate, i motivi che le hanno generate, i diversi artisti che hanno collaborato a ciascuna di esse, ma anche la solitudine di alcune di esse.

Così suggerii che del mio libro facesse parte un cd con alcune canzoni, perché il lettore potesse vedere i testi vestiti di melodia: le parole di una canzone non hanno a che vedere con la poesia, alcune di esse possono assomigliarvisi. ma la musica con parole è una forma popolare di espressione a se stante e rilevante come tutte le altre. Selezionai alcuni brani per il libro che fossero idonei ad essere letti anche oltre il canto e di altre sovrastrutture musicali. Il Brasile ha nella musica popolare una delle sue maggiori ricchezze, siamo conosciuti, finanche rispettati fuori dal nostro Paese per il tragitto compiuto dalla cultura che la nostra musica esprime, e ciò che è ancora più incredibile è che una tale conquista ha avuto luogo senza che, parallelamente, la lingua brasiliana emergesse: immaginiamo cosa sarebbe accaduto, allora, se il mondo avesse potuto comprendere anche i nostri testi!

E non può non rendermi felice il fatto che molti, moltissimi, vogliano apprendere il portoghese brasiliano proprio in ragione della nostra musica.Sfortunatamente essa – dopo aver contribuito a suscitare, nei confronti del nostro Paese, rispetto e ammirazione in ragione dei valori che sottendono alle nostre scelte musicali – si è andata incastrando alle ragnatele del mercato, dove la commercializzazione utilizza ogni meccanismo possibile al solo fine di lucro e seguendo percorsi ben lontani da dinamiche rischiose. Ecco così che ci troviamo di fronte a un bivio che segna la differenza tra mete distinte, su direzioni opposte: il mercato da una parte, che bada alla forma e decide solo in virtù del lucro senza correre alcun tipo di rischio; dall’altra, la musica, e mi riferisco ad una musica che ha la pretesa di essere prima di tutto arte, eppur comunque obbligata a seguire quegli stessi meccanismi e così conduce gli artisti a perdere interesse in progetti a rischio. Ciò inibisce la creatività e pregiudica il tesoro che abbiamo.

La proposta che ricevetti fu quella di compiere una selezione di testi legati alla mia religiosità, che è anche la religiosità del mio popolo, soprattutto in ragione del successo del mio brano Sto. Antônio e degli altri che composi per i nostri Orixás. Presto mi accorsi che alcune mie composizioni, pur non passando strettamente per il tema religioso, coinvolgevano la mia spiritualità e momenti di questionamento al punto tale da non poter essere escluse, e decisi di aggiungere gli «altri canti» del titolo. In questo modo ebbi la libertà di inserire anche testi «profani».

Devo ringraziare il Banco Capital per aver dato vita a questo progetto culturale e per mantenerlo in vita; Fernando Oberlaender per avermi scelto; Luzia Moraes per aver lavorato al mio fianco; tutti i musicisti e gli ospiti che hanno collaborato a questo lavoro romantico. E la mia famiglia, “che mi compone”.

RECENSIONE di Romina Ciuffa

Jota Veloso, baiano, cantautore della grande famiglia artistica Veloso cui appartengono Caetano e Maria Bethânia, ma anche capoerista e veterinario, regalandomi questo suo libro di poesie, spesso musicate da lui o da altri, mi ha portato a Salvador, nelle processioni di Santi ed Orixà, tra baiane che diventano guerriere, dentro i riti della Santeria, quel sincretismo attraverso cui gli schiavi, quando fu loro imposta la conversione al cattolicesimo, celarono sotto le spoglie dei Santi cattolici le loro Divinità.

Sono a Salvador con Oxum, divinità Orixà del di Candomblé, che con rabbia persino l’acqua fresca può uccidere. Con Bárbara, di cui Jota scrive ispirato nell’atrio della Chiesa di Rosário dos Pretos nel Pelourinho, il 4 dicembre, durante le celebrazioni della santa, mentre le di lei figlie incorporano la corrispondente divinità Iansã. Con Maria, cui scrive pensando anche alla grande zia Maria Bethânia («quando seppi che stava per dedicare un album alla Madonna»), e in ricordo della fede della nonna Canô. Ogni donna è Maria senza aver bisogno del nome.

Direttamente alla zia Bethânia va Encanto, e lei la registra nel primo album del nipote. Se c’è amore io mi moltiplico intero. Con lei ed altri parenti passeggia per la Baia de Todos os Santos, si ferma a guardare il tramonto dal Forte di San Marcello, quindi scrive Kirimurê, che nella lingua dei Tupinambà significa «mare interiore»: eu sou o Dono da Terra, eu sou o Caboclo daqui. Scrive di San Giorgio, guerriero molto venerato, e del drago sconfitto. Al Sant’Antonio del titolo dedica molti brani, anche suggeriti dalle vecchie baiane delle processioni (Santo Antônio, Cidade da minha Fé, Santo Antônio Milagroso); il primo è oggi cantato nel giorno dei Santi a Bahia.

C’è molto di profano. Canzoni scritte per cantare nella famosa Casa da Mãe, spazio culturale creato dalla cantante Stella Maris nel Rio Vermelho (Medo de Deus e do diabo, medo! Medo de dormir sozinho e de acordar ao lado!). Cinismo: Lei mi ha lasciato, lei mi ha lasciato, lei mi ha lasciato in pace! Quale divinità devo ringraziare per avermi liberato dalle redini di potere con le quali tratta gli altri come bestie? Altrove: la cosa più importante in me è quella che io non conosco, ancora una volta ispirato dalla zia Bethânia (la cosa importante nel ricamo è il dietro, gli aveva detto), la quale registra il brano in un suo album.

Carico della storia del suo popolo sulla pelle, nelle curve del corpo, Jota si definisce l’esuberanza del mescolamento, stravaganza senza eccesso, «sono colui che ruba lo sguardo del padrone e della padrona, sono l’intelligenza della bellezza, ho appreso col samba ad entrare nella roda ed è per questo che so stare nel centro. Abbiano pure pregiudizi su di me, sguardi ironici, gesti di sdegno, e tutto ciò che l’invidia trasforma in seguito in ammirazione». Paura di vivere sorridendo e di causare invidia! Paura della paura, questo è peggio, paura della paura, questo è l’orrore! Paura!

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