CHIARA CIVELLO, A POSTO NEL MONDO

  • Rioma
  • 09/01/2014

A CURA DI ROMINA CIUFFA >
Schermata 2014-01-09 a 15.40.15CHIARA CIVELLO, L’intervista. Il primo disco, Last Quarter Moon, esce in America con la Verve, prodotto da Russ Titelman. Il secondo, The Space Between per la Emarcy, prodotto da Steve Addabbo. Il terzo, 7752, è in chilometri la linea d’aria tra New York e Rio de Janeiro (anche in versione Deluxe). Ma il Brasile le dice “Resta” e lei… si ferma. Con Ana Carolina e gli artisti che l’accompagnano fino a questo nuovo, già premiato album: Al posto del mondo.

Schermata 2014-01-09 a 14.10.19ABOUT A REVOLUTION. Pasqua, in macchina, direzione Sardegna con mia madre e una sua amica. Cantavo tutta la mia cassetta di Tracy Chapman, quella di Talking About A Revolution. Allora trascorrevo molto tempo da mia nonna che, per calmarmi, mi diceva: «Dai, vai a suonare il pianoforte». Avevo 2 anni e non ne sapevo nulla: aprivo il coperchio e cercavo sui tasti delle relazioni tra suoni. Mia nonna ascoltava. E disse a mia madre: «Secondo me le devi far fare qualcosa di musicale». Un genitore fa fare al bambino gli iter classici… nel mio caso tutti tentativi parzialmente falliti. Perché non canti?, mi disse in macchina l’amica di mia madre. Risposi che l’opera, la classica, non facevano per me. Ma facevo associazioni sbagliate con le cantanti liriche. Ci sono tanti altri tipi di canto, mi disse. C’è il Canto Jazz… A udire la parola Jazz mi risuonò un picchetto nell’animo, così: tin. Mio padre aveva un’Enciclopedia del Jazz, e mi infilai lì dentro ad indagare.

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SAINT LOUIS. Il Saint Louis era vicino casa, ma io ero troppo piccola: mi dissero che solo a 14 anni avrei potuto iniziare. Nemmeno compiuti, mi recai a Via Cimarra ad iscrivermi a Canto Jazz. La mia prima insegnante, la leggendaria Edda Dell’Orso, voce che nelle colonne sonore di Ennio Morricone non intonava melodie ma strumenti. Meravigliosa, viscerale, diaframma e respirazione. Quando lasciò, fui dirottata verso un’altra insegnante, che cambiò la mia vita: Cinzia Spata. Aveva un approccio molto soggettivo ed empirico: registrava canzoni cantate da lei, le imparavo dalla cassetta e la settimana dopo gliele riportavo. Imparai il repertorio degli standards e la mia insegnante si batté per farmi fare il saggio già dal primo anno, cosa non comune, soprattutto per una quindicenne che cantava Gerwshin, roba da adulti. Quando avevo 16 anni mi disse che erano in corso, ad Umbria Jazz, le audizioni per entrare a Berklee. Provai con What Are You Doing For The Rest Of Your Life di Michelle Legrand. Profetica: vinsi la borsa di studio. Dovetti terminare il liceo prima e iniziai già con degli ingaggi, anche nella Mario Reia Big Band. Lì conobbi Roberto Gatto, Danilo Rea, Stefano Di Battista. Fu quest’ultimo a segnalarmi a Reia. A 18 anni feci la valigia e partii: all’aeroporto, il 2 settembre del 1994, iniziò la mia vita.

Schermata 2014-01-09 a 14.10.27BERKLEE. A Boston trovai un mondo incantato in cui costruire un corso di studi vestito sul mio talento e la mia indipendenza. Cominciavo a barcamenarmi da sola. Da brava Gemelli cambiai molte volte: iniziai con il corso di Performance, ma avevo bisogno di qualcosa di più teorico che non fosse legato solo all’esibizione. Così, estremo opposto: Big Band Writing, un corso talmente cervellotico che mi cacciarono via dopo un mese… Non avevo i prerequisiti perché ero una cantante. Ridimensionai: Professional Music. Mi resta non tanto ciò che ho imparato allora, quanto ciò che ho disimparato dopo: lo sviluppo artistico ti dà un supporto ma è accademico. In realtà tutto ha un senso quando si vive. A me ha aperto le porte dell’espressione il commisurarmi con culture diverse a soli 18 anni, aprire i confini dell’anima: questo è il centro di quello che faccio. Vivevo sbattuta maldestramente dagli eventi, ma la precoce indipendenza mi insegnava a misurarmi con le differenze, culturali, idiomatiche, di tutti i tipi, feste in cui si ballava la salsa, lezioni in inglese, chiacchierate in spagnolo. Per guadagnare cantavo di tutto. Poi sceglievo i miei idoli all’interno della scuola, ad esempio il sassofonista: andavo da lui e mi facevo insegnare tutto del suo strumento, ossessionandomi sulle improvvisazioni, e imparavo. Un po’ per emulazione, un po’ per ossessione, andavo per febbri, dal sax alla tromba, alle percussioni, poi lo scat singing, improvvisazione vocali, a 360 gradi proiettata nella musica andavo ovunque mi commuovessi. Finché non chiamai il top dei musicisti della scuola, professori, a fare concerti nei Jazz club più importanti di Boston, sempre sold out. Capii che già stavo raccogliendo. Gli spettacoli del mio trio erano virtuosistici, ero un’eclettica cantante Jazz che improvvisava sugli standards accompagnata da grandi professionisti.

Schermata 2014-01-09 a 14.10.39PAROLE INCERTE. Nel 1998, ultimo anno di scuola, scrissi la mia prima canzone, Parole Incerte, che cambiò la mia vita. Brano complesso nella struttura musicale, e totalmente vero per rappresentare quello che era il mio momento di allora. Cominciai a flirtare con la scrittura e a conquistare una rielaborazione di ciò che avevo dentro a modo mio. Appoggiarmi alle cose altrui era solo una parte di me; quando interpreto, sono molto selettiva: devo sentire il brano come l’avessi fatto io.

Schermata 2014-01-09 a 14.10.45NEW YORK. Avevo toccato il top delle performance a Boston e decido: New York. Sacrifico una storia d’amore e, dopo appena un mese, conosco Russ Titelman, il produttore dei più grandi, da Eric Clapton a James Taylor, a Jim Benson: i professori che mi accompagnavano nel Trio suonavano con Paul Simon, e mi invitarono ad un suo concerto. Me lo presentarono, gli parlarono così bene di me che mi chiese un demo. Io partii per la Corea come guest vocalist, e al mio ritorno trovai in segreteria decine di messaggi di Titelman. Nel demo avevo messo le mie solite cose Jazz, tra cui una versione di Moon River in 7/4, ma la track n. 2 era Parole Incerte. Lui mi chiese proprio di quella, chi avesse fatto testo e musica. Il giorno dopo mi portò subito alla Warner Chapter e mi disse che ero riuscita a dire in modo molto personale «qualcosa che ha echi in Ennio Morricone, in Tom Jobim. Credo tu debba ora smettere di fare tanti concerti, e concentrarti nella scrittura». Non me lo feci dire due volte e mi buttai nei locali dei cantautori a capire «come si fa», perché io ero più una sofisticata interprete che una cantautrice. Fu il periodo in cui conobbi Jesse Harris, e iniziò il momento di Norah Jones.

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LE TORRI GEMELLE. Le Torri erano appena cadute a 100 metri da casa mia. Vivevo a China Town, facevo la notte brasiliana di New York tutti i lunedì sera; quella mattina non avevo staccato il telefono e mi chiamò una mia amica che mi disse: «Corri, vai a vedere, accendi la Tv: un attacco terroristico». Vivevo con altri 5 musicisti in un loft gigantesco, la tv non si accendeva, così salii in terrazzo e vidi, dal vivo, il secondo aereo che si schiantava sulla Torre. Non lo dimenticherò mai. Accendemmo la tv, i miei roommates deliravano, il telefono non prendeva più, ero riuscita a parlare velocemente con mio padre, dopodiché 24 ore di telefono isolato. Questo mi diede una tremenda scossa. Cominciai a scrivere canzoni, frequentando il Living Room di New York: Jesse Harris, Norah Jones, Richard Julian, quel gruppetto di amici che poi hanno continuato per quella direzione, il nuovo cantautorato newyorchese di cui io ero più un’outsider in quanto straniera, ma da cui ho cominciato a sviscerare la mia interiorità attraverso la composizione. Titelman mi portò alla Verve, che impazzì per Parole Incerte e iniziamo così la preproduzione dell’album. Io scrivevo sempre.

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BACHARACH. E poi mi portò tre giorni a Santa Monica a scrivere con Burt Bacharach. Allora nemmeno mi resi conto della «stazza» di quel momento, come ogni volta che sei dentro. Te ne accorgi solo poco prima e poco dopo, poi entri nell’oblio. Inizia qui Last Quarter Moon, il primo disco, che amo e odio, mio mettermi precocemente a nudo. Il tempo passa, tu migliori, poi riascolti mentre le cose cambiano. Guardo indietro con occhio critico, ma in effetti imperfection is much more interesting than perfection. Faccio il primo giro di mondo, un secondo disco – The Space Between – con l’aiuto del pianista Peter Rende, lavoro molto più crepuscolare in cui mi raccolgo: escono Un Passo Dopo l’Altro, If You Ever Think Of Me, Night, ed altri brani che ancora canto dal vivo, una copertina buia, intimista, con un fiore, un po’ Gauguin. Nel 2007 altro giro di mondo, altro legame, altro stop. Mia madre mi dice sempre, quando c’è crisi: parti. Quando c’è una dinamica senza via d’uscita, apri la porta e esci. Io la prendevo alla lettera, prendevo un aereo e via.

Schermata 2014-01-09 a 14.10.59BRASILE. Così prendo un biglietto per il Brasile e scappo. Un po’ per «curarmi». Brasile perché ero stata ovunque, e cercavo un posto che mi desse non solo purificazione dal mio malessere, ma anche un ribaltone creativo, informazioni su cui crescere. Dopo una settimana, ad un Sarau, festa in cui gira la chitarra e si canta, conosco brasiliani del calibro di Ana Carolina, Dudu Falcão, Totonho Villeroy. (la videointervista di RIOMA ad Antonio Villeroy qui: http://www.youtube.com/watch?v=Fxzn65wgAng ndr). Fra loro cantai Isola, che avevo scritto con Rocco Papaleo; e fu allora che Ana Carolina, seduta accanto a me, mi chiese di scrivere per lei. In quel momento, io ritrovavo il mio centro. Ed entravo in una nuova missione, inattesa. Il giorno dopo presi la chitarra e cominciai a scrivere la melodia di Resta; da lì, senza che lo sapessi, è iniziato il mio terzo disco, insieme ad un nuova fase della mia vita che ha visto il Brasile prendere il sopravvento.

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RESTA. Ne ho cominciato la melodia, Ana Carolina l’ha raccolta e l’abbiamo chiusa insieme. Subito mi chiese di andare a San Paolo a cantare questa canzone che ancora non aveva parole. Mi disse: «Vieni, la finiamo qui». La completammo tramite assonanze, io in italiano, lei in portoghese. Fu lei a proporre quella frase di Dulc Quental, che è per ciò stesso una coautrice: Você é aquela mulher escondida nas letras de tantas canções. Ci diede il via: tutto passa, resta. Abbiamo giocato sul duplice significato che ha la parola «resta» in italiano e portoghese. Per Ana resta, nada resta, lei passeggera da sempre, eraclitea; per me, anche rimanere. Sono un’idealista. Abbiamo continuato a scrivere, brani come 8 Storie, Dimmi Perché, Traição, I Didn’t Want, Mais Que A Mim… Fanno parte del terzo album, 7752, la linea d’aria di 7752 chilometri che congiunge le due città chiave: Rio e New York. Quindi il quarto album, Al Posto Del Mondo. Piccola parentesi con Sanremo. Poi Problemas/Problemi, scritto in 24 ore con Ana Carolina e Dudu Falcão, premio Multishow come Miglior Canzone del 2012 in Brasile. Simplesmente Aconteceu, mia composizione, è stata scelta per una nuova serie televisiva. Penso già al prossimo disco e scrivo canzoni. Di altri progetti non parlo per scaramanzia. Tornerò a NY a trovare anche quel gruppo di amici che è da tempo che non vedo. Ed ho girato un videoclip da sola con un amico… Per il resto mi muovo-cerco-trovo-perdo-prendo-lascio idee.

Schermata 2014-01-09 a 14.11.05ITALIA VS BRASIL. Per il Brasile la vita è l’arte della gioia, per Vinicius de Moraes è l’arte dell’incontro. I brasiliani sono professionisti in questo. Noi italiani ci prendiamo sul serio; loro sono solari, hanno senso dell’umorismo, e una bella serata non deve avere contenuti che cambiano l’esistenza, può essere solo una bella serata. Per noi c’è sempre uno strano senso della commemorazione di un gruppo sociale, di un contenuto, devono essere tutti un po’ intellettuali: siamo settorializzati, i brasiliani sono aperti, meticci, mischiati, hanno dentro lo schiavo e il conquistatore, hanno l’infinito. Noi italiani nasciamo e apparteniamo a una casta sociale, secondo i calcoli – salvo deragliare – sappiamo con chi ci potremmo sposare. Loro no: puoi iniziare da favelado, arrivare su un palco ed essere milionario. È un discorso che fa parte della cultura delle Americhe, tu sei il prodotto di imprescindibili storie, con un trascorso complesso di etnie, soprusi, conquiste, difese dei propri diritti; noi siamo molto più privilegiati ed è anche noioso. Non a caso ogni volta che torno la prima parola che sento è «crisi». Un modo per esorcizzarla è già non parlarne più, perché la rivoluzione nasce dal cambiamento, e come si fanno i cambiamenti? Non dando nulla per scontato. È il mio modus vivendi e il Brasile me lo dà nei rapporti. Credo e sento di avere una famiglia a Rio. Ma ho capito che andare avanti non dedicando all’Italia del tempo era poco logico; canto molto in italiano, e al pubblico in Italia ho dedicato poca presenza. Avendo ora trovato un team lavorativo che funziona, credo sia importante non dare l’impressione che io sia fuggita da alcunché: andai via a 18 anni per la mia sete di mondo, ma non avevo nulla nelle mani da cui fuggire. Dedicarmi al mio Paese ignorando tutte le crisi di cui la gente parla, intessendo rapporti nuovi e coinvolgenti con gli altri artisti (Bungaro, Luca Barbarossa, Diana Tejera, la poetessa Patrizia Cavalli…) – comincio a sentirmi parte di una comunità anche in Italia, di questo ho bisogno. Gli altri si concentrano sul proprio Paese, poi partono; il mio iter si è svolto in senso contrario. Ora, invece di viaggiare in movimento, per un po’ viaggerò ferma.

Altra RIOMA su Chiara Civello: E INTORNO A CHIARA CIVELLO, GIRAVA IL MONDO… L’intervista. Al link https://www.riomabrasil.com/e-intorno-a-chiara-civello-girava-il-mondo-lintervista/

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