Recensione – ANGÉLIQUE KIDJO, 8 settembre 2014, Roma, Eutropia – a cura di ROMINA CIUFFA
Chi è Angélique Kidjo? Non sarà un nome commerciale, in Italia, ma qualunque brano che lei canti farà trasalire gli ascoltatori. La beninese – emigrata giovanissima a Parigi, oggi vive fra New York e Benin – giunge in Italia per raccontare la sua Africa e, in un filo inscindibile, il Brasile come lei lo vede. Sul suo palco gli inseparabili Dominic James (chitarra), Ben Zwerin (basso), Magatte Sow (percussioni), Gregory Louis (batteria).
Bambina prodigio. Suo padre apparteneva alla tribù Petahm di Ouidah, sua madre (famosa coreografa e direttrice teatrale) al ceppo Yoruba; Angélique crebbe con 8 tra fratelli e sorelle, in un ambiente altamente creativo, e fin dall’infanzia ebbe la possibilità di essere in contatto con una grande varietà di culture e tradizioni musicali. I genitori la spinsero verso quella direzione e le fecero apprendere più lingue, oltre al suo dialetto, il “fon”. Cominciò a cantare a 6 anni nel teatro della madre, accompagnava la troupe in tutte le tournée in Africa occidentale. Lasciò il teatro e a 9 anni, con i fratelli, formò la Kidjo Brothers Band, apprendendo rhythm’n’blues e giungendo al soul afroamericano, per il quale maturò una vera e propria passione, a partire da James Brown. A 15 anni era già famosa; e cominciò a comporre brani originali ispirata principalmente dalla sua grande musa e sogno, Miriam Makeba, quindi fondò Les Sphinx. Nel 1979 una radio locale la invitò a cantare e Angélique, militante anti-apartheid, scelse una delle sue recenti composizioni su Winnie Mandela e la lotta politica nell’Africa meridionale. A 20 anni Ekambi Brilliant la spronò ad incidere il suo primo album, “Pretty”, che registrò con il fratello Oscar a Parigi. Quell’album ottenne in Africa del Nord un successo strepitoso. Si trasferì a Parigi, e si unì al pianista olandese Jasper van’t Hofe al gruppo Pili Pili, con il quale fece un lungo tour e che presto si identificò con lei, e intanto registrava, con il sassofonista olandese Tom Barlage, l’album “Ewa Ka Djo”. Nel 1988 l’africana formò un gruppo con altri jazzisti francesi, che si intitolò al suo nome, gli Angie Kidjo, quindi cominciò una carriera da solista con l’album “Parakou”, un misto di soul, zouk, makossa e reggae. Grazie a quell’album, fu chiamata a collaborare con il suo grande idolo, Miriam Makeba (le due condivisero non solo i palchi, ma anche amicizia ed ideali politici), e con la stessa Nina Simone, a Parigi per suonare all’Olympia (9 e 10 aprile 1990).
Nel 1991 a Miami registrò il suo secondo album da solista, “Logozo” (“tartaruga” nella lingua materna fon). “Logozo” è una versione di “Malaïka”, musica tradizionale africana della Makeba. Ebbe un successo incredibile; la maggior parte dei brani erano il frutto della collaborazione con il marito Jean Hébraïl, uno dei migliori album della sua carriera, prodotto da un americano nato a Cuba, Joe Galdo, e con la partecipazione di stelle quali Manu Dibango, Branford Marsalis, Ray Lema. Da lì la carriera spaziò nel mondo e nei continenti, fino ad una pausa, presa per dedicarsi alla figlia Naïma-Laura, nata nella primavera del 1993, che non le impedì di continuare a scrivere: quindi, il nuovo disco, “Aye”, poi “Fifa” (con la collaborazione di Carlos Santana, e per la prima volta la lingua inglese), “Oremi”, “Keep on Moving“, “Black Ivory Soul”, questi ultimi facenti parte di una trilogia.
Qui entra in scena il Brasile, parte rilevante della vita musicale della Kidjo. Lanciato nell’aprile 2002, “Black Ivory Soul” venne registrato tra New York e Salvador, Bahia, prodotto da Bill Laswell, tre titoli scritti in collaborazione con Carlinhos Brown, quindi il “Refavela” di Gilberto Gil, oltre a tre titoli francesi incluso il “CES Petit Riens”di Gainsbourg. L’8 settembre 2009 la città brasiliana di São Luís do Maranhão (unica capitale brasiliana fondata dai francesi) festeggiò i suoi 397 anni con un concerto della Kidjo nella Praça Maria Aragão, riunendo oltre 8 mille persone ad ascoltarla. Inaugurava così l’anno della Francia in Brasile, unificando tre continenti: Brasile, Europa ed Africa, nella voce di una sola.
Dopo, grazie all’album “Djin Djin”, al quale hanno collaborato Alicia Keys, Branford Marsalis, Joss Stone, Peter Gabriel, Amadou & Mariam, Carlos Santana, Josh Groban, Ziggy Marley, per la versione per l’Europa e l’Australia Joy Denalane e Carmen Consoli e per quella per il Regno Unito ed il Giappone Youssou N’Dour, ha avuto il riconoscimento del Best Contemporary World Music Album nell’edizione 2008 dei Grammy Award. Ha collaborato anche nella canzone Madre Terra di Carmen Consoli.
La Kidjo aiuta: da sempre si batte per i diritti delle donne e dei giovani (è responsabile della creazione di Batonga, associazione per la scolarizzazione primaria e secondaria delle giovani africane), ha scritto un’autobiografia Spirit Rising che è un inno alla donna, sta per riportare in scena nel Carnegie Hall di New York il suo celebre omaggio a Miriam Makeba. Dal 2002 è ambasciatrice Unicef, e si dedica alla campagna di vaccinazione contro la poliomielite. E molto altro: “Mi alzo ogni giorno chiedendomi: quando ci sveglieremo?”, ha dichiarato in un’intervista a La Repubblica. Così coinvolge nella sua musica, e, quindi, nelle sue battaglie, i grandi della musica nera, ma anche gli occidentali. “Dai nostri musicisti tradizionali ho imparato–proseguiva nell’intervista citata–che la musica è inclusione e non esclusione perché è un dono della natura e quindi dobbiamo condividerlo. Resta vero che l’importanza della musica africana non è sempre riconosciuta in modo appropriato, ma non tutti gli occidentali fanno questo: alcuni di loro, come Peter Gabriel, rendono sempre omaggio alla bellezza e alla forza dell’Africa”.
E non le manca niente per riempire Eutropia – il Festival dell’Altra Economia di Roma, di un cantico al creato, l’esaltazione emotiva del primitivo, la ballabilità dei problemi. Un concerto estasiante, sovraumano, che porta nei vari continenti, in un incessante battere di forza e musicalità che seguono dalle prime file anche Tony Bungaro e Chiara Civello (nelle foto di backstage con Angélique), lei che invita sul palco tutti gli spettatori e con loro balla africano, una danza liberatoria, ancestrale, inarrestabile, senza mai un attimo, per l’intero concerto, cessare di parlare di temi dell’umanità, come fossero più importanti della musica. Sensibilizzare prima di tutto, la Kidjo lo sa, una danza africana ha una rilevanza sociale prima che artistica, è un insieme di simboli, un vero e proprio fenomeno collettivo dove le energie si fondono. I maestri Yoruba cercano di esprimere attraverso l’apprendimento delle arti del movimento e del tamburo i desideri, i valori e la creatività collettivi. Attraverso i canti e i balli africani sono chiamati gli spiriti. Angélique Kidjo sa tutto questo. E, intanto, fa festa sul palco. Con tutti. L’Africa si fonde con Roma e non siamo a Pigneto.
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