UN PALLONE DI TROIA SOFFOCA I BRASILIANI E NASCONDE LE VERITÁ

  • Rioma
  • 30/04/2014

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di ROMINA CIUFFAPerché continuare a raccontare, e a raccontarsi che, «grazie» a questi prossimi Mondiali previsti nel giugno a venire, il Brasile – e Rio de Janeiro in particolare, città dove essi si svolgeranno – sta solo crescendo? Vero, ma succede anche molto altro. È chiaro che la crescita avviene, ma è come quella di un bambino: giorno per giorno acquista centimetri, muscolatura, cognizioni, esperienze, in poche parole cresce. Ma la crescita non impedisce, non esclude, a volte addirittura implica un trauma. Ossia, quel bambino crescerà comunque, a prescindere da ciò che sta vivendo. Così può crescere, ma infelice; può, sia pur crescendo, perdere un arto, avere disturbi involutivi, soffrire, drogarsi, subire violenze, essere malato. La crescita è strutturale, l’infelicità no. È quest’ultima che va inserita nelle statistiche accanto al Pil.

Come quel gigantesco cavallo di Troia che racchiudeva moltissimi individui, così questo bambino gigante, il Brasile, sta crescendo. All’interno la folla scalpitante, una molteplicità di individui e caratteri: uno, nessuno e centomila. Dire che il Pil cresce non fotografa le sparatorie all’interno delle favelas, dire che molte di queste ultime sono state pacificate non dà conto delle guerriglie che la UPP – Unidade de Polícia Pacificadora – fa con i «moradores», i residenti, decisamente non giustificate, né racconta dell’aumento di furti e di delinquenza, prima raramente presenti, all’interno di tali comunità.

Schermata 2014-04-30 a 11.46.48Non solo favelas: anche le città, massificate al di sotto del telo scuro di un cavallo di legno, non stanno meglio. La città di Rio, in particolare, è stata negli ultimi, recenti anni, soggetta ad uno stress psicofisico e ambientale indelebile: lavori in corso ovunque, il rumore, il costo della vita aumentato a dismisura, i venditori ambulanti, gli eccessi nelle richieste al turista (oggi pretese). È giunta come manna dal cielo anche la giustificazione ad eliminare le «van», i pulmini privati (con licenza) con i quali ci si spostava facilmente da e verso ogni zona della città, senza dubbio sovraccarichi e pericolosi per certi versi, ma non meno degli autobus.

Quando una «van» è stata rubata e utilizzata per compiere reati era il caso di muoversi per garantire più sicurezza e controllo, non per eliminare dalla circolazione questo mezzo di trasporto alternativo, rivale estremamente competitivo di taxi e trasporto pubblico (secondo la gente di strada, per facilitare la famiglia di un personaggio politico che avrebbe interessi in quest’ultimo – relata refero). Nel marzo del 2014 tre brasiliani, in breve identificati, dopo aver rubato il mezzo, facevano scendere tutti i passeggeri mantenendo solo due turisti, sequestrandoli per sei ore, praticando violenze e stuprando la donna, sbarazzandosi poi dell’uomo e costringendo la donna, che supplicava di non essere uccisa, a prelevare da un bancomat per poi abbandonarla a Itaboraí. Il risultato è stata l’immediata eliminazione, alla radice, del problema (più economico che sociale) e la perdita di lavoro di moltissime centinaia di autisti e collaboratori, spesso provenienti dalle favelas.

Perché di questo non si parla, ma si sottolinea l’aumento del tasso di occupazione e di sicurezza? Rio non è, oggi, una città sicura. Lo era più pochi anni fa, prima di essere scelta come meta del pallone mondiale.

Senza parlare poi, dell’organizzazione: a dicembre 2013, a soli 6 mesi dai Mondiali, per acquistare un biglietto del Maracanà, lo stadio carioca, era a disposizione solo una biglietteria anche quando i biglietti acquistati facevano riferimento ad entrate in settori siti a 180 gradi rispetto alla biglietteria stessa, con l’onere, non per tutti facile, di compiere a piedi un percorso molto lungo al di fuori dallo stadio, infastiditi dai «bagarini» e da problemi di altro tipo, oltre che da quelli classici da stadio.

Il Brasile non è un cavallo di Troia, piuttosto un gigantesco pallone in cui sono chiusi, nascosti, tutti i brasiliani, che scalpitano perché il Paese ha preferito i calciatori a loro, investire nella Coppa piuttosto che salvare vite, usare la forza pubblica e meccanismi repressivi più che impiegare fondi per progetti sociali di portata significativa, mirati, in un’ottica di prevenzione.

Dalla rivista «Aspenia» emergono dati forti: tra i 20 milioni di abitanti più poveri, 15 sono neri; 16 milioni vivono con 30 euro al mese, ma il quotidiano «Valor» ha dedicato un inserto ai ricchi e al lusso scrivendo che il 6 per cento dei brasiliani è miliardario e, nella classifica planetaria, risulta essere al dodicesimo posto in fatto di ricchezza. Negli ultimi dieci anni, sono state assassinate 45 mila donne. Sono state accumulate oltre 100 mila denunce di maltrattamenti contro i bambini e gli adolescenti. La corruzione dei poliziotti nelle favelas è un dato di fatto; ciononostante l’80 per cento dei «favelados» è orgoglioso di vivere nella favela, e il 70 per cento assicura che continuerebbe a viverci anche se il suo reddito aumentasse.

Questo pallone gigante, nel cui interno sono stati rinchiusi i brasiliani, è preso a calci come nello sport del calcio è normale fare. Le rivolte che hanno avuto luogo hanno ricevuto il nome di «O Gigante acordou», il gigante si è svegliato, a sottolineare l’estrema situazione di insofferenza di un popolo dimenticato dai suoi stessi rappresentanti. La bandiera brasiliana dal 1889 riporta il motto «Ordine e progresso», ispirato al positivismo di Auguste Comte: «L’amore come principio e l’ordine come base; il progresso come scopo», ma il progresso vuol dire anche giustificare la distruzione della Foresta amazzonica. Insomma, due pesi e due misure.

riproduzione riservata rioma brasil

Specchio Economico, Maggio 2014
(web www.specchio
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