AMBASCIATORE MANUEL LOBO ANTUNES: ITALIA E PORTOGALLO CRESCERANNO CONOSCENDOSI SEMPRE DI PIÙ

  • Rioma
  • 04/02/2014

Schermata 2014-02-04 a 16.34.58 a cura di ROMINA CIUFFA.
Anche su SPECCHIO ECONOMICO, Febbraio 2014 >

L’Ambasciata del Portogallo a Roma svolge il ruolo di rappresentanza diplomatica del Governo della Repubblica portoghese in Italia. Nella sede romana dell’Ambasciata sono ospitati gli uffici della rappresentanza diplomatica, dell’ufficio consolare, del dipartimento dell’Agricoltura e della sezione culturale, a Milano invece è la sezione Commercio e Turismo. L’Ambasciatore del Portogallo a Roma è accreditato anche presso l’Albania, Malta e la Repubblica di San Marino e, come Rappresentante permanente, presso le organizzazioni delle Nazioni Unite con sede a Roma: Fao, Ifad e Wfp/Pam. Rappresenta in Italia il Portogallo l’Ambasciatore Manuel Lobo Antunes, il quale ha idee molto chiare sulla crisi europea, sugli strumenti da usare per superarla, sui modi in cui i due Paesi possono agire per aiutarsi reciprocamente, passando innanzitutto attraverso una conoscenza più approfondita delle opportunità disponibili ed eliminando, così, gli stereotipi più comuni. Il punto di partenza, intanto, è convincersi di una legge economica: che le crisi passano.

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Domanda. Quali sono i rapporti fra Italia e Portogallo?
Risposta. I rapporti sono buoni. Il Portogallo e l’Italia sono membri dell’Unione Europea e, nel quadro del funzionamento di quest’ultima, i nostri rapporti sono molto frequenti. In quell’ambito ho avuto molte conversazioni e scambi di idee con i colleghi italiani, anche nel coordinamento delle rispettive posizioni; abbiamo avuto in varie occasioni la possibilità di confrontarci su molte materie di politica estera, e abbiamo avuto modo di verificare la presenza di posizioni comuni in molte materie e in molte aree. Dal punto di vista economico le relazioni sono forti, stabili, vorrei che fossero ancora più intense e più diversificate: è a tali fini che abbiamo ancora del lavoro da svolgere, anche aumentando le relazioni economiche e garantendo una maggiore presenza delle imprese italiane in Portogallo e delle imprese portoghesi in Italia.

D. Secondo lei, in che modo è possibile sviluppare a pieno tali rapporti?
R. Il Portogallo è un Paese moderno, con grandi possibilità di crescita e di investimento, vi sono opportunità in varie aree del mercato che le imprese italiane dovrebbero conoscere. Vorrei che anche le imprese portoghesi – attraverso conferenze, seminari, partecipazioni in fiere ed altro – contribuiscano a facilitare l’entrata degli imprenditori italiani nel Paese, e che, in senso inverso, questi ultimi mostrino ai portoghesi le opportunità che l’Italia offre, sviluppando così le molte potenzialità di questo rapporto. Nell’ambito delle nuove tecnologie, dell’industria meccanica, della moda, della carta e in numerose altre, vi è spazio per entrambi i Paesi, ma vi è anche un costo di divulgazione in quanto vi sono molti luoghi comuni in Portogallo su ciò che è l’Italia, e in Italia su ciò che è il Portogallo. Dobbiamo superare tali clichés: esiste sempre un Paese che le persone non conoscono, che gli imprenditori non conoscono, che vale la pena conoscere e sul quale è utile scommettere. Questo è lo sforzo che dobbiamo compiere.

D. Quali sono attualmente i gradi reciproci di coinvolgimento imprenditoriale dei due Paesi?
R. Abbiamo una presenza nel mondo molto antica, in America Latina, in America del Nord, in Asia, in Africa, e credo che anche qui in Italia abbiamo possibilità di esprimerci. Sono già operative oltre 300 imprese italiane in Portogallo, un numero molto significativo; in Italia vi sono una trentina di imprese portoghesi.

D. In che modo convincere le imprese – nostre ed europee – ad investire in Europa e, specificamente, in Portogallo e Italia, in questo momento di crisi?
R. Vi sono molte cose da fare, ma prima di tutto occorre uscire dalla routine che caratterizza in questo momento le nostre attività. È vero che oggi le imprese francesi, italiane, spagnole, portoghesi, in generale europee, cercano sbocchi nei mercati emergenti, che sono in via di sviluppo, caratterizzati da una crescita economica positiva e nei quali le opportunità di business sono elevate, mentre in Europa la situazione economica è ancora fragile e difficile e ciò ovviamente sposta i programmi imprenditoriali altrove. Ciononostante credo che tanto i mercati emergenti quanto quelli europei configurino due percorsi competitivi e possibili, nel senso di investire nei primi ma nello stesso tempo confermare e rafforzare la propria presenza all’interno dell’Unione Europea. Dobbiamo consolidare e migliorare la presenza portoghese in Italia e la presenza italiana in Portogallo: facciamo molto, ma possiamo fare molto di più, non possiamo lasciare le nostre situazioni economiche nella routine.

D. Come vede la situazione nel prossimo futuro?
R. Il punto è superare questa crisi, e per il 2014 vi sono già indicazioni e previsioni di una crescita economica positiva. La fiducia degli imprenditori e dei consumatori è aumentata in Portogallo, e anche qui in Italia gli ultimi dati sono in tal senso, confermati dai mezzi di informazione. In entrambi i Paesi abbiamo ancora un alto livello di disoccupazione giovanile che è molto preoccupante, ma i dati noti in questo momento ispirano un certo ottimismo. In Italia, in Spagna, anche nella Grecia della crisi vi sono già alcuni segnali positivi, pur restando questo un ambiente di prudenza, di cautela, di avviso sulle difficoltà cui si può andare incontro, ma credo di percepire che già ci troviamo in un momento di crescita collegata a maggiori livelli di fiducia e ottimismo. Solo il tempo potrà darci o meno ragione.

Schermata 2014-02-04 a 16.34.50D. Cosa pensa della crisi europea?
R. Stiamo vivendo un momento di transizione e di cambiamenti che, come ogni momento di transizione e di cambiamenti, è duro e violento; ogni adattamento ha costi economici, psicologici, sociali. La speranza è quella di rincontrare un cammino di crescita economica che possa dare un nuovo input alle condizioni e alle prospettive di vita delle persone. Le crisi non durano per sempre, esse hanno una fine, è nella loro stessa natura, e spero che il principio della fine della crisi che stiamo vivendo possa essere avvertito a breve, tanto da potersi ricostruire una pace che non potrà essere esattamente la pace anteriore alla crisi, ma comunque consti di un processo sociale ed economico che esaudisca le speranze delle persone.

D. Questa crisi sta attanagliando soprattutto le generazioni nate tra gli anni 70 e 80. Qual’è la sua esperienza personale?
R. Ammetto di appartenere a una generazione che ha vissuto tutta la propria vita senza problemi, senza angustie, sempre felice, cosa rara in Europa, dove tutte le generazioni hanno sempre avuto problemi. Io sono nato nel 1958, al tempo del Baby Boom e dell’esplosione economica, ed ho avuto una vita facile fino a quattro o cinque anni fa. Ho trovato lavoro con facilità, ho trovato casa con facilità, ho svolto la mia carriera professionale con facilità: la mia vita è stata facile per i primi 50 anni e pensavo che sarebbe stata così anche negli anni a venire; poi, improvvisamente, le cose sono cambiate. Resto un privilegiato, e continuo ad avere fortuna nella vita, ma, nonostante tutto, ho le mie ansie e letture non sempre ottimistiche su ciò che potrebbe accadere. Sono consapevole del fatto che le crisi fanno parte della storia umana, oltre che della storia europea, e che esse naturalmente passano: dunque il nostro maggiore obbligo è quello di farle passare al minor costo possibile, e di conseguire un futuro prossimo che sia il migliore possibile. Continuo a sperare per i giovani che verranno. Questa è anche e soprattutto una crisi di fiducia, gli italiani e i portoghesi sono molto critici, anche se non vogliono darlo a vedere.

D. Come percepisce l’Italia dal suo punto di vista?
R. Un Paese come l’Italia ha un potenziale straordinario. Ho seguito la visita del primo ministro italiano Enrico Letta in Messico. Erano presenti molti imprenditori di grandi multinazionali italiane, imprese che hanno un immenso potenziale di affermazione. L’Italia continua ad essere un grande Paese in Europa, senza dubbio dal punto di vista politico come anche dal punto di vista economico, ed è ancora una grande potenza manifatturiera e punto di riferimento in molti altri settori economici. Io dico sempre che fu l’Italia ad inventare la bellezza, la portò fin qui dalla Grecia. La vostra capacità di creazione, di invenzione, come anche di espansione e di affermazione è immensa. Ovviamente ci sono molte cose che devono essere ancora sviluppate, altre che devono essere cambiate in Italia, ma la capacità esiste. Il Paese ora deve risolvere un problema di fiducia in se stesso.

Schermata 2014-02-04 a 16.34.19D. Cosa può fare l’Europa per noi?
R. Un progetto europeo deve essere un progetto di successo, l’Unione Europea deve riconquistare la propria energia, tornare ad avere un’anima, essere molto vicina ai cittadini, riproporre progetti positivi e ricostituirsi come un punto di riferimento per tutti gli europei i quali possono ritrovare in essa la propria identità. I vari Paesi europei hanno ridiscusso una definizione europea per capire cos’è l’Europa, come possono essere risolti i problemi europei che sono evidenti e davanti agli occhi di tutti, e come possiamo riavvicinare l’Europa ai cittadini perché non sia un’identità aliena e perché non sia sempre e soprattutto una fonte di cattive notizie ma anche di buone, che possa raccogliere quanto più possibile questo spirito europeo e il senso di solidarietà che ci lega. Un’Europa più unita, più attiva, più forte è fondamentale, dal mio punto di vista, nel rapido processo di globalizzazione che stiamo vivendo, evitando di frammentare e perdere il nostro spirito europeo e le nostre esigenze di solidarietà.

D. In che modo i nostri Paesi possono integrarsi, secondo lei, nel processo di globalizzazione in atto?
R. Si tratta di una globalizzazione di blocchi, le Americhe, l’Africa, la Cina, la Russia: anche noi dobbiamo essere un blocco, ovviamente facendo valere i nostri interessi. Dobbiamo molto realisticamente ammettere che l’Europa ha interessi: sembra quasi che abbiamo pudore a dire che abbiamo interessi da difendere, spesso antagonisti, ma che comunque portano i benefici della globalizzazione e che sono assolutamente indispensabili per la nostra prosperità e il nostro benessere. Per certi versi l’Europa è timida, ha delle riserve a mostrare i propri punti di vista. Incide su questo anche la questione della fiducia o dell’autofiducia. Io so che l’Europa continua ad avere un potenziale di modificazione mondiale in varie aree. È fondamentale che l’Europa continui ad essere fonte di ispirazione globale, di innovazione, delle nuove idee nel design, nelle tecnologie. Non c’è alcuna ragione perché l’Europa non continui a costituire questa fonte di creazione che è, e creazione deve divenire trasformazione. Attraverso la creazione passa sempre, naturalmente, l’aspetto economico che è fondamentale. In una situazione complessa quale quella attuale, è necessario credere che si tratta di un tempo di transizione, nel quale vi sono ancora molte opportunità che dobbiamo saper cogliere.

D. Quali sono i nostri punti di forza?
R. Le Autorità italiane hanno una diplomazia economica molto attiva che ricopre un ruolo molto importante, come anche il Portogallo ha, e questo può unire i due Paesi negli investimenti, inducendoli ad offrire molto più rispetto al Calcio e al Fado. Abbiamo il sole, abbiamo infrastrutture, lavoratori qualificati, servizi molto sviluppati, industrie agroalimentari, di turismo e costruzioni tutte molto sviluppate. Vedo con soddisfazione che il turismo italiano verso il Portogallo è aumentato. Sono stato a Lisbona ad agosto e in ogni negozio sentivo parlare italiano, addirittura nelle gelaterie. La peggiore attitudine che potremmo avere è abbassare le braccia, arrenderci, dobbiamo prestare grande attenzione anche alla coscienza sociale, per me è molto importante tenere conto delle persone che si trovano in situazioni delicate, difficili.

Schermata 2014-02-04 a 16.34.07D. La disoccupazione è un problema portoghese oltre che italiano?
R. Tale problema è prioritario in Portogallo proprio come in Italia, dove caratterizza uno dei punti principali del Governo Letta. Abbiamo un tasso di disoccupazione giovanile molto alto, solo in minima misura inferiore a quello italiano, e ciò causa l’esodo di molti lavoratori, in cerca di lavoro altrove; la fuga di cervelli e braccia costituisce un costo molto alto per il Paese, è una perdita non solo economica, ma anche sociale, dal momento che la famiglia viene a mancare di un elemento costitutivo, un figlio, e tende a subire tale scelta sul piano anche emotivo. Come è ovvio, se i giovani vanno all’estero, rimangono a casa gli anziani o i cittadini di mezza età, così si verifica l’invecchiamento della società. Il Portogallo ha un problema demografico molto serio, il tasso di natalità è molto basso e ciò ha ripercussioni sulla previdenza sociale, un problema comune a molti Paesi europei, per chi più per chi meno, nel nostro caso è un problema serio. L’uscita dai giovani dal sistema ha anche implicazioni di altro tipo, demografico in primo luogo. L’Europa ha già approntato progetti di sviluppo, siamo all’inizio, vedremo i risultati, ma dal mio punto di vista è fondamentale che tale crescita sia una crescita economica. Una parola molto bella, che si usa molto, crescita, «crescimento» in portoghese. Le indicazioni del ministro dell’Economia italiano Fabrizio Saccomanni sono nel senso di una ripresa economica graduale in Italia nel 2014, forse non rapida, forse non violenta, ma comunque esistente.

D. Com’è organizzato il sistema educativo portoghese?
R. Le università portoghesi e il sistema educativo in generale partono da una base molto bassa: abbiamo avuto un regime di dittatura, un Paese povero e con molti ritardi nella crescita. Il rapporto di comparazione internazionale Pisa sul sistema educativo ha ritenuto quello portoghese degno di nota, soprattutto considerando il punto dal quale siamo partiti. C’è ancora molta strada da fare per risolvere i problemi di abbandono scolare, di efficienza delle installazioni, di integrazione sociale: abbiamo molti problemi ma il progresso è stato notevole, e lo studio Pisa l’ha confermato, con nostro grande orgoglio collettivo. Abbiamo università di grande prestigio internazionale ed europeo; nonostante i mezzi di finanziamento limitati, il sistema è di qualità comparabile a qualunque sistema europeo.

D. Quali sono le principali scommesse del vostro Paese?
R. Il Portogallo negli ultimi anni ha scommesso molto sulla ricerca scientifica, predisponendo borse di studio e con progressi decisamente eccezionali e con legami con il mondo imprenditoriale. Il nostro Governo ha investito moltissimo nella qualificazione dei giovani, ad esempio con l’introduzione della lingua inglese nella scuola sin dal sesto anno d’età, come nel computer e nelle nuove tecnologie più in generale. È una strategia di sviluppo che darà senza dubbio i propri frutti nel medio e nel lungo termine. Non è da meno l’internazionalizzazione dell’impresa: oggi esportiamo anche in mercati per noi nuovi, quali l’Asia, il Medio Oriente, in genere la zona chiamata Eurasia ecc. Internamente abbiamo scommesso sulle infrastrutture, certamente migliori che in molti Paesi europei, abbiamo un buon sistema di servizi, e-government, semplificazione amministrativa. Da noi si può costituire una società in un’ora ricorrendo ai servizi «Empresa na hora», impresa subito, attraverso un Dipartimento specifico che si occupa di tutta la burocrazia. Il mio dialogo con il Ministero delle Finanze portoghese è tutto online, non vado in banca fisicamente da tempo e tutto funziona bene. Un esempio importante: il «Via Verde», che è il corrispettivo portoghese del vostro Telepass italiano e consente di accelerare i pagamenti autostradali, fu originariamente un’invenzione portoghese, e l’usiamo già da moltissimi anni. Servizi e prestazioni sono molto evoluti in Portogallo, ed anche antichi, nel senso che sono già nell’uso comune da molto tempo.

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Specchio Economico, Febbraio 2014
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